Università, studenti pugliesi scelgono atenei fuori regione: danno da 3 miliardi

Al Nord si rimane, dal Sud si va via. Il ritornello, purtroppo, è sempre lo stesso. La vicenda dell’equivoco o del pasticcio della sede didattica di T

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Al Nord si rimane, dal Sud si va via. Il ritornello, purtroppo, è sempre lo stesso. La vicenda dell’equivoco o del pasticcio della sede didattica di Taranto del corso di laurea in Medicina dell’Università di Bari, al di là delle amarezze e delle ferite aperte lasciate sul territorio, ha scoperchiato il vaso dei migranti didattici. Perché, il bando pubblicato dall’Uniba parlava chiaramente di 297 posti disponibili, 237 presso la sede di Bari e 60 presso quella del capoluogo jonico. La morale? Moti studenti tarantini hanno optato per l’iscrizione in altri atenei, preferendola alla sede didattica della Città dei Due Mari. Legittimo. Anche se l’emigrazione giovanile studentesca dalla Puglia, come da gran parte del Mezzogiorno, racconta una regione che disperde il suo capitale umano e la sua linfa vitale, accentuando in maniera significativa sia la desertificazione economica che quella demografica. La Puglia è in testa nella hit parade degli esodi universitari. Tre le destinazioni preferite: il Lazio con 10mila iscritti, in pratica un pugliese fuori sede su 5 studia all’ombra del Colosseo; l’Emilia Romagna e la Lombardia dove la presenza dei fuori sede provenienti dal Tacco dello Stivale oscilla tra il 15 e il 16 per cento. I dati più recenti sono quelli dello scorso anno accademico. Gli ultimi saranno disponibili dal 7 novembre presso l’Anagrafe nazionale degli studenti del Miur. Le previsioni, comunque, non dovrebbero cambiare molto rispetto al passato.

Qual è il quadro tratteggiato dalle cifre? Su una popolazione studentesca complessiva di poco inferiore alle 130mila unità, il 46 per cento, quindi una manciata in più di quota 50mila tra ragazzi e ragazze, ha scelto di studiare altrove. Insomma, più di quattro pugliesi su dieci. C’è chi ha anche quantificato il danno: 3 miliardi di euro all’anno in meno di consumi, con relativo impatto sul Pil, sentenzia lo Svimez. Che ricorda anche come ogni anno le università del Sud perdono 120 professori e se non si assume, non si può ampliare l’offerta formativa: “Esiste un circolo vizioso della formazione che drena soldi e talento” – scrive il direttore Luca Bianchi . Il numero uno dello Svimez rincara la dose: “Avere molte università meridionali con una possibilità di reclutamento inferiore alle persone che hanno cessato servizio e avere, invece, gran parte degli atenei settentrionali in grado di ampliare offerta didattica e qualità della ricerca è una scelta suicida per il Paese. Al Nord si continua a vedere una crescita di studenti e questo significa più richiesta, più tasse incassate, dunque, più cattedre che a loro volta stimoleranno un movimento virtuoso verso il Settentrione e strangolante per le accademie del Sud”.

In Italia i numeri, quelli difficili da mettere in discussione, sfatano tanti luoghi comuni. Sapete qual è la facoltà più frequentata nel nostro Paese? Quella di Economia con 234mila847 iscritti. Giurisprudenza è solo al terzo posto con 213mila267, preceduta anche da Ingegneria, con 225mila619. Medicina è in quinta posizione superata anche da Lettere, a quota 163mila195. Ancora dati. I 9mila e 85 corsi universitari attivi dalle Alpi alla Sicilia, raccolgono 1milione681mila146 studenti. Gli iscritti ad un corso di laurea triennale sono 1milione057mila079, quelli a ciclo unico 324mila412 e quelli in Specialistiche 299mila655. Di questi, gli studenti sono749mila361 e le studentesse 931mila785.

Ma torniamo a Medicina. Quest’anno i posti disponibili sono aumentati del 18 per cento in tutta Italia. Ai test si sono presentati in 68mila694 per 11mila568 posti disponibili: un posto ogni 9 concorrenti a Bari e a Bologna, uno ogni 2 a Ferrara, uno ogni 3 a Siena, rispetto ad una media nazionale di uno a 6. Non sono mancate – come da tradizione – le segnalazioni di irregolarità, dall’uso di cellulari alle domande ritenute ambigue – con in testa Roma, Napoli e Milano. Il 79 per cento dei ricorsi presentati riguarda il Centro Sud.

Anche i lucani non scherzano. Diciassettemila dei 22mila universitari (il 76 per cento, nonostante la presenza dell’università di Basilicata) preferiscono macinare chilometri per raggiungere Lazio, Campania, Puglia e Toscana.
Insomma, il Sud si impoverisce. L’Istat fotografa la migrazione selettiva così: negli ultimi dieci anni 20mila under 30, per studio e per lavoro, hanno fatto la valigia e lasciato la Puglia. Tredici città pugliesi figurano nella top 50 se si esamina la percentuale tra popolazione nella fascia d’età 18-30. In testa c’è Molfetta con il 14,3% di giovani che emigra seguita da Modugno (13,3%), San Severo (12,6%), Martina Franca (11,3%) e Taranto (11,2%). Sono dodici invece i Comuni nella graduatoria per valori assoluti. Con Taranto terza in Italia che ha visto emigrare 3.643 giovani, Bari sesta con 2.971 e Foggia nona con 2.599.

Dei migranti didattici non parla quasi nessuno. Come delle migliaia di meridionali che si curano al Nord. E nessuno si chiede perché, ad esempio, solo quattro tarantini abbiano scelto di frequentare Medicina nella propria città.
Link Taranto, il sindacato studentesco, un’idea ce l’ha: “L’assegnazione nella sede di Taranto ai 44 studenti ultimi in graduatoria per ovviare alla copertura dei posti previsti per l’immatricolazione al primo anno, a fronte dei soli 4 studenti che hanno indicato la sede suddetta come preferenza, ha contribuito a costruire un “corso di serie B”, profondamente distante dalle promesse di realizzazione del polo sanitario di eccellenza sbandierato dalle istituzioni a livello comunale e regionale, accompagnato dalla scelta di collocare il tutto nel quartiere Paolo VI, che ospita già da anni altri corsi in Informatica, Scienze Ambientali e Professioni Sanitarie ma resta ad oggi avulso dal resto della città e dai Comuni limitrofi, nonché pressoché impossibile da raggiungere dagli stessi docenti dell’Università di Bari”.

Nonostante sia difficile disporre di dati su base provinciale, colpisce il “pellegrinaggio” dei pugliesi verso l’università Vita salute San Raffaele di Milano, dove dopo i 907 lombardi iscritti, spuntano campani (152), pugliesi (146) e siciliani (144). L’anno scorso dei 3mila studenti che hanno sostenuto i test di ingresso per Medicina nell’Uniba, solo in 300 sono riusciti a rimanere in Puglia.
Torniamo all’interrogativo iniziale: perché si va via? Le cause principali sono le differenze legate a qualità della vita, disponibilità alloggi universitari, rete di servizi e trasporti locali efficienti, condizioni del mercato del lavoro, dalle opportunità di inserimento ai più elevati livelli salariali.

La situazione non cambia neanche dopo la laurea in Medicina: in dieci anni dal 2005 al 2015, oltre 10mila medici hanno lasciato il Belpaese per lavorare all’estero. Ai dati della Commissione europea e del Rapporto Eurispes-Enpam, si aggiungono quelli di Consulcesi group secondo cui ogni anno 1.500 laureati in Medicina partono per frequentare scuole di specializzazione. Un danno enorme se si tiene conto – come ha indicato il sindacato di categoria Anaao Assomed – che tra pensioni maturate con la legge Fornero e l’applicazione di Quota 100, il Servizio sanitario nazionale perderà 70 mila camici bianchi, fino al 2023, sugli attuali 110 mila. Tra soli sei anni, nel 2025, curarsi in ospedale sarà ancora più difficile, mancheranno infatti all’appello 16.500 specialisti. Non solo: il danno provocato dalla fuga all’estero è anche economico, perché la formazione costa allo Stato italiano 150 mila euro per ogni singolo medico. Chi prende lo stetoscopio e parte ha un’età che va dai 28 ai 39 anni, la meta principale è la Gran Bretagna, con il 33% di scelte, seguita dalla Svizzera con il 26%. Salutano soprattutto ortopedici, pediatri, ginecologi, anestesisti.

La Federazione degli Ordini dei medici (Fnomceo) ha lanciato recentemente una campagna di sensibilizzazione con tanto di manifesti, condivisa anche dall’Ordine dei medici di Bari, sul problema della carenza dei medici.
Insomma, uno scenario complesso, che abbraccia tutta la filiera, da quella della formazione al mondo del lavoro. In attesa delle soluzioni, o di efficaci interventi istituzionali, difficilmente l’esodo dei migranti didattici potrà essere ridotto.

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