Strage S.Marco in Lamis, padre vittime: «Voglio giustizia»

«C'è qualcuno che sa ma non parla. Io voglio giustizia per i miei figli, perché i miei figli sono stati ammazzati barbaramente dalla mafia. Ecco però

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«C’è qualcuno che sa ma non parla. Io voglio giustizia per i miei figli, perché i miei figli sono stati ammazzati barbaramente dalla mafia. Ecco però ho scelto di essere qui». Lo ha detto Antonio Luciani, padre di Aurelio e Luigi, i fratelli uccisi innocentemente il 9 agosto 2017 a San Marco in Lamis (Foggia) perché testimoni dell’omicidio, compiuto pochi attimi prima sotto i loro occhi, del boss di Manfredonia Mario Luciano Romito e del cognato Matteo de Palma, veri obiettivi dei sicari. L’uomo è presente stamattina in Corte d’Assise, a Foggia, per assistere al processo a carico di Giovanni Caterino, di 39 anni, accusato di aver fatto da basista al commando armato che compì la strage.

«Ringraziamo le istituzioni che non ci hanno mai lasciato soli – ha detto Antonio -. Qualcuno conosce la verità e deve dirla. Almeno noi familiari riusciamo a scoprire cosa è realmente accaduto». Nel processo si sono costituiti parte civile, oltre a familiari e parenti delle vittime, l’associazione Libera contro le mafie, la Regione Puglia e il Comune di San Marco in Lamis.

TESTIMONE: IN AZIONE ALMENO 3 KILLER – «Verso le 9:30» del 9 agosto del 2017 io e un mio amico «abbiamo sentito dei colpi. Prima alcuni, forse cinque. Inizialmente abbiamo pensato fossero fuochi d’artificio. Poi altri colpi. Allora sono uscito dal casolare e lì ho visto una macchina grigia metallizzata dalla quale sono scese almeno tre persone che hanno fatto fuoco. Io non vedevo a cosa sparassero perché sparavamo verso la stazione». È apparso provato dall’emozione Antonio Pazienza, l’agricoltore 42enne di San Giovanni Rotondo (Foggia) che questa mattina ha testimoniato in Corte d’Assise, a Foggia, nel processo a carico di Giovanni Caterino, ritenuto dall’accusa il basista del commando armato che ha compiuto la strage di mafia di San Marco in Lamis, in cui vennero uccisi i fratelli Aurelio e Luigi Luciani, il boss di Manfredonia Mario Luciano Romito ed il cognato Matteo de Palma. L’uomo è stato ascoltato come testimone del quadruplice omicidio.
«Non mi sento assolutamente un eroe. I signori Luciani – ha aggiunto – sono i veri eroi».

«Conoscevo i fratelli Luciani, ma non avevamo una frequentazione – ha detto l’agricoltore rispondendo alle domande del pm Luciana Silvestris -. Quella mattina ero nel casolare della mia azienda che si trova a circa 200 metri dalla vecchia stazione di San Marco in Lamis, luogo dell’agguato. Non ero solo, con me c’era un amico». Quindi ha ricostruito quello che vide. I killer, secondo il racconto di Pazienza, subito dopo risalirono in auto e fuggirono in direzione di Apricena. Alla domanda del pm se i sicari fossero agitati, Pazienza ha risposto dicendo di non aver visto «gesti maldestri da parte degli uomini armati». Stando alla ricostruzione fornita dal testimone, pochi secondi dopo la sparatoria, sopraggiunse un Suv che, avendo notato la scena, ingranò la retromarcia e si allontanò a forte velocità.
«Io e il mio amico dopo la sparatoria ci avvicinammo alla stazione e vedemmo un furgoncino. Mi avvicinai ad un ragazzo (uno dei due fratelli Luciani, ndr) con il volto per terra e la maglietta verde, con una grande chiazza di sangue sulla schiena. A quel punto chiamammo i soccorsi». L’udienza è stata aggiornata al prossimo 21 ottobre quando saranno ascoltati il padre e le vedove dei fratelli Luciani.

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