Il turismo pugliese? Una torta d’oro. Da sola rappresenta il 10 per cento dell’economia regionale: nel 2018 il pil turistico è aumentato del 5,5 per c
Il turismo pugliese? Una torta d’oro. Da sola rappresenta il 10 per cento dell’economia regionale: nel 2018 il pil turistico è aumentato del 5,5 per cento rispetto all’anno precedente. La nostra industria dei viaggi e delle vacanze è il miglior biglietto da visita legato al marketing territoriale. E non può che ampliare i margini di crescita con l’obiettivo di destagionalizzare ancora di più le presenze in modo da creare una rete strategica indispensabile per avere una visione moderna, attuale, all’altezza delle sfide della globalizzazione. La scommessa è crescere fino al 2025 dell’8,5 per cento l’anno, avendo già da tempo superato la soglia dei 15 milioni di pernottamenti e dei 4 milioni di arrivi, proseguendo sulla strada dell’internazionalizzazione.
Ma negli ultimi dieci anni sono cambiate radicalmente anche le abitudini dei turisti. La crisi economica ha creato nuovi stili di vita, chi prenota sempre più spesso lo fa sul web, promuovendo gli short break (le vacanze brevi di 3-4 giorni) grazie soprattutto alle compagnie aeree low cost, ha una maggior attenzione ai prezzi e alla convenienza. E proliferano gli annunci sui portali. Così il mercato dei bed & brekfast ha avuto un’impennata senza precedenti, in continua espansione. Con un rischio: la formula per sviluppare un turismo diverso, si è trasformata in moti casi in un mercato parallelo, difficile da controllare. Basta voltarsi indietro e ricordarsi dell’esplosione del fenomeno Gallipoli.
L’offerta ricettiva della Puglia è importante. Da un lato le 1.043 strutture alberghiere dotate di 108mila 348 posti letto, dall’altro gli esercizi extra alberghieri con in testa i 3.745 b&b, seguiti dai 1.000 affittacamere e dai 593 agriturismi, per complessivi 49mila 157 posti letto.
Sulla carta, non c’è storia nel rapporto tra numeri e utenza, decisamente diversa: il 60 per cento delle presenze si concentra nelle strutture alberghiere e i b&b, pur rappresentando il 50 per cento dell’offerta per numero di strutture attive, in termini di capienza ricettiva (posti letto) si fermano al 9 per cento.
In realtà il fuoco cova sotto la cenere. Perché lamentele e polemiche non mancano. La difficoltà nei controlli o nelle ispezioni e la diffusione a macchia d’olio delle offerte, molte delle quali effettuate da chi arrotonda lo stipendio a fine mese mettendo sul mercato un paio di stanze, equivalgono a minare il settore.
Il gioco è semplice. La legge regionale, ad esempio, individua due tipologie di b&b, la prima a conduzione familiare, la seconda in forma imprenditoriale. Questo per favorire l’ospitalità come se il turista fosse a casa propria e una forma di turismo sostenibile grazie all’utilizzo del patrimonio già esistente. La differenza la fanno una serie di condizioni legate ai servizi, alla durata dell’attività, al numero di camere disponibili. Tra dichiarazioni sostitutive, autocertificazioni, norme transitorie e prescrizioni i compiti di controllo sono demandati ai Comuni. La Polizia locale, oberata di compiti, soprattutto nel periodo estivo, con organici limitati, inevitabilmente arranca. A Vieste, 15mila abitanti, 2 milioni di presenze turistiche l’anno (dati Istat), in testa alla hit parade regionale, è stato elevato un solo verbale per mancanza di autorizzazione. Polignano, una delle mete più gettonate ha 8 vigili urbani in organico, e 250mila presenze.
La moda del momento in Puglia è acquistare un bivani da ristrutturare a quattro soldi e iniziare l’attività. Nonostante la legge stabilisca, ad esempio, che la residenza del titolare sia la stessa di quella dell’attività.
Insomma, si verifica una specie di concorrenza sleale in grado di alimentare la zona grigia fatta di irregolarità, difficilmente quantificabile. Se il mercato è lo stesso, anche le regole devono essere le stesse.
In base ai dati rilevati il moltiplicatore turistico per l’intera Puglia è stato nel 2016 di 5,15. In altre parole per ogni presenza turistica Istat ve ne sono state altre 4,6 che non sono state rilevate e non appaiono (report Mercury Firenze).
E qui entra in ballo il discorso del web. Nel mirino uno dei portali più cliccati. Francesco Caizzi, responsabile di Federalberghi Puglia, da anni punta il dito contro Airbnb: «C’è una deregulation selvaggi sul web, una specie di far west». La ricerca di Incipit srl su dati Inside Airbnb relativi alla scorsa estate, disegna un quadro inquietante: ad agosto, in Puglia, risultavano disponibili su Airbnb 35.694 alloggi (+94,91% rispetto ad agosto 2016), dei quali 28.843 (+80,81%) riferiti a interi appartamenti, 22.844 (+64%) disponibili per più di sei mesi, 23.079 (64,66%) gestiti da host che mettono in vendita più di un alloggio. Nelle province di Bari e Bat i dati sono altrettanto eclatanti: nello stesso periodo erano disponibili 5.817 alloggi (+83,73% rispetto ad agosto 2016), dei 3.997 (+68,71%) sono riferiti a interi appartamenti, 3.785 (+65,07%) disponibili per più di sei mesi, 3.353 (+57,64%) gestiti da host che mettono in vendita più di un alloggio. Allarmante la situazione di Bari città che registra ben 1.146 alloggi disponibili (+106,48% su agosto 2016) a fronte di una lista ufficiale di appena 162».
Per Caizzi – la Federalberghi ha commissionato la ricerca – «da questi numeri si capisce che c’è qualcosa che non va. Un danno economico dalle proporzioni incalcolabili». E spiega: «Questi signori si stanno arricchendo indebitamente alle spalle degli operatori onesti (concorrenza sleale), dei lavoratori (lavoro nero), dello Stato (evasione fiscale), della comunità locale (pressione sul mercato dell’edilizia abitativa, spopolamento dei centri storici, evasione dell’imposta di soggiorno e degli altri tributi locali) e, spesso, mettono a rischio la sicurezza dei turisti (mancato rispetto delle norme di igiene e sicurezza). Nel Salento, a Gallipoli in particolare, abbiamo già quest’anno potuto verificare quanto e quale danno abbiano arrecato al turismo simili fenomeni».
«Lo studio – aggiunge il presidente degli albergatori baresi e pugliesi – smonta le grandi bugie della cosiddetta sharing economy. Non è vero, infatti, che si tratta di forme integrative del reddito, perché sono attività economiche a tutti gli effetti, che molto spesso fanno capo a inserzionisti che gestiscono più alloggi. Non si condivide l’esperienza con il titolare, perché la maggior parte degli annunci pubblicati su Airbnb si riferisce all’affitto di interi appartamenti, in cui non abita nessuno. Non si tratta di attività occasionali, perché la maggior parte degli annunci si riferisce ad appartamenti disponibili per oltre sei mesi all’anno. Non è vero, infine, che le nuove formule compensano la mancanza di offerta, perché gli alloggi presenti su Airbnb sono concentrati soprattutto nelle grandi città e nelle principali località turistiche, dove è maggiore la presenza di esercizi ufficiali. E poi perché Airbnb deve pagare una quota forfettaria dell’imposta di soggiorno ai Comuni mentre gli albergatori se ritardano il versamento della tassa intera di un solo giorno corrono il rischio di essere accusati di peculato?».
La Regione Puglia ha cercato di correre ai ripari, contro i «furbetti dell’appartamentino», approvando una legge che istituisce il registro delle strutture non alberghiere, comprese le locazioni turistiche, con l’attribuzione di un codice identificativo. Chi non lo userà dovrà pagare multe dai 500 ai 3mila euro. Ma l’Italia è il Belpaese delle controversie e il Governo ha impugnato la norma. Il ministro Gian Marco Centinaio vuole un codice identificativo nazionale. La burocrazia ha fatto il resto: ne riparleremo forse dopo questa estate.
Comunque, la Puglia piace. Travel Appeal ha analizzato l’offerta, la reputazione del territorio e la soddisfazione dei turisti nella nostra regione, analizzando un milione e 300mila recensioni del 2018, il 19 per cento effettuate da stranieri. Con una percentuale di soddisfazione che supera l’86 per cento. E forse, questo, è il dato più importante per quanto riguarda il futuro. Meno roseo rispetto al passato. Perché dopo anni di chiusura, i mercati africani si stanno riaprendo. Su tutti l’Egitto. Con prezzi decisamente più vantaggiosi e competitivi rispetto al made in Puglia: con 500 euro si soggiorna a Sharm el Sheik per una settimana, con tanto di volo da Bari. I campanelli d’allarme suonano. Sarebbe un errore sottovalutarli.
COMMENTI