Puglia, due mesi per una visita ma chi paga aspetta solo 6 giorni

Una media di 64 giorni per ottenere una visita o un esame strumentale negli ospedali pugliesi, contro 6 giorni per ottenere a pagamento quella prestaz

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Una media di 64 giorni per ottenere una visita o un esame strumentale negli ospedali pugliesi, contro 6 giorni per ottenere a pagamento quella prestazione nella stessa struttura. Il dato è suggestivo, ma non deve stupire: nella sanità italiana (con pochissime eccezioni come Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) funziona esattamente così. La proposta di legge di Fabiano Amati (Pd), che ha proposto di sospendere i medici dall’attività libero-professionale di fronte a marcate differenze nei tempi di attesa, potrebbe essere in contrasto con il quadro legislativo nazionale: ma ha il merito di aver acceso un faro su un problema importantissimo.

I dati mostrano infatti una situazione a macchia di leopardo. Prendiamo ad esempio la prestazione più prenotata in Puglia, ovvero l’elettrocardiogramma. Le attese medie (è stata presa a parametro la prima settimana di ottobre 2017) vanno dai 103 giorni della Asl Lecce ai 119 del Policlinico di Bari fino ai 36 negli ambulatori della Asl di Bari. Ma in tutti i casi, prenotando la prestazione a pagamento lo stesso ecg si può effettuare (nella stessa struttura) non oltre gli 8 giorni di attesa. Stesso discorso per le visite specialistiche: una visita cardiologica in Puglia ha tempo medio di attesa (sempre riferito alla prima settimana di ottobre 2017) pari a 61 giorni, ma a pagamento si può ottenere in 7 giorni.

Ma d’altro canto meno del 5% (il 4,87%) delle prenotazioni nella settimana presa in esame ha scelto come modalità l’Alpi, ovvero la prestazione in intra moenia in cui il medico ospedaliero svolge attività libero professionale: insomma, gli si paga la visita. Un dato che ha molti motivi, tra i quali c’è anche la scarsa convenienza delle prestazioni Alpi, visto che quasi sempre le tariffe dei medici privati sono più basse e dunque per casi semplici si preferisce quest’ultima strada. Non è un caso, a conferma di questa lettura, se l’unica specialità in cui l’Alpi si mostra concorrenziale a livello di numeri è l’oncologia: quasi un malato su tre sceglie di pagare il consulto al medico ospedaliero per accorciare l’attesa. E l’ospedale pugliese con il maggior ricorso all’Alpi è il Policlinico di Bari, dove (parliamo sempre della settimana in esame, ma i dati non si discostano molto nel resto dell’anno) quasi un terzo dei pazienti sceglie la strada del consulto libero professionale.

La causa principale delle liste d’attesa – dicono fonti della Regione – è il blocco del turn-over che da 15 anni ha depauperato la Puglia di personale sanitario. Lo sblocco delle assunzioni, di cui si attende il via libera in queste settimane, potrebbe forse invertire la tendenza. Di certo non c’è riuscito il piano straordinario lanciato all’epoca dell’assessore Elena Gentile, che aveva messo sul piatto 12 milioni: a certificarne il fallimento anche un rapporto della Corte dei conti.

A criticare la proposta di Amati è intanto il capogruppo Dit, Ignazio Zullo, che la boccia come «inammissibile». «Le norme contrattuali – dice Zullo – non possono essere intaccate per legge. Dire che se le liste di attesa sono lunghe è colpa dei medici è un messaggio subdolo che dà in pasto alla collettività l’immagine del medico opportunista. Servirebbero piuttosto interventi di programmazione e organizzazione dei servizi in funzione della domanda».

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