Il cosiddetto 'ghettò di Rignano Garganico è solo un pezzo del problema dell’agricoltura in Capitanata, dove la vera questione è l’illegalità diffusa
Il cosiddetto ‘ghettò di Rignano Garganico è solo un pezzo del problema dell’agricoltura in Capitanata, dove la vera questione è l’illegalità diffusa: è quanto sostiene in una nota la Flai Cgil di Foggia prendendo spunto dalla lite di tre giorni fa nella baraccopoli culminata nell’uccisione di un malese ad opera di un ivoriano, che è stato fermato nelle ore successive.
«Almeno 20.000 lavoratori in agricoltura, pari al 50% degli iscritti negli elenchi anagrafici – scrive il sindacato – sono privi di diritti e invisibili ai mass media. A questi devono essere sommati almeno altri 10-15 mila lavoratori completamente in nero che non vengono iscritti negli elenchi anagrafici e che sono fuori da ogni circuito di legalità».
La Cgil sottolinea che il fenomeno del ‘ghettò di Rignano “interessa l’opinione pubblica e le istituzioni soprattutto nei tre mesi estivi, mentre sembra quasi cadere nel dimenticatoio per i restanti mesi, un luogo come altri della Capitanata. Rignano non è l’unico, probabilmente è il più vasto e forse il più famoso, sotto i riflettori dei media internazionali e nazionali».
La Cgil fornisce una serie di cifre sul lavoro nero in agricoltura in Capitanata: i lavoratori africani censiti negli elenchi anagrafici al 2014 sono 2.646, e di questi solo 588 hanno più di 51 giornate lavorative, mentre 1.151 hanno lavorato nell’anno nella provincia di Foggia per meno di 10 giornate. Stesso destino spetta ai lavoratori bulgari, che sono 4.289 di cui 3.600 con meno di 51 giornate mentre 2.300 non raggiungono le 10 giornate. Infine ci sono 11.451 romeni, dei quali 8.400 non raggiungono le 51 giornate annue. Un contesto complessivo, scrive la Cgil, che frutta all’economia illegale milioni di euro e che andrebbe analizzato nel suo insieme come un sistema strutturato e complesso gestito in modo organizzato, «sottaciuto da sacche di assuefazione, anche da parte delle istituzioni».
Per il sindacato serve «un’azione sinergica tra le parti sociali con le parti datoriali», le aziende di trasformazione in loco «devono pretendere che i propri conferitori, le aziende agricole di produzione, debbano essere iscritte nella rete di qualità per il lavoro agricolo», ovvero «debbano essere eticamente sostenibili».
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