L’Italia non sarà l’Arabia Saudita ma nel suo piccolo ha anche lei il suo bel tesoretto di petrolio e di metano, custoditi sottoterra e sotto i fondal
L’Italia non sarà l’Arabia Saudita ma nel suo piccolo ha anche lei il suo bel tesoretto di petrolio e di metano, custoditi sottoterra e sotto i fondali marini. C’è però una condizione per goderne: non bisogna dire «no grazie».
Noi italiani vedremo sgorgare nuovo greggio e nuovo gas soltanto se ci daremo la pena di sfruttarli, altrimenti è come se quel tesoretto non esistesse.
La Strategia energetica nazionale (Sen) prevede lo sviluppo delle energie alternative ma propone anche di aumentare l’estrazione di idrocarburi in Italia fino a 24 milioni di barili di petrolio equivalente all’anno (l’unità di misura che omogeneizza petrolio e gas naturale) e questo sarebbe più che un raddoppio rispetto agli 11 milioni del 2012. Il raddoppio in soli otto anni, dice il documento della Sen, «richiederà investimenti per 15 miliardi di euro, creerà 25 mila posti di lavoro e frutterà un risparmio sulla fattura energetica nazionale di 5 miliardi di euro all’anno». E l’ambiente? La Sen impone «il rispetto dei più elevati standard internazionali in termini di sicurezza e tutela ambientale». Ma in Italia non è proprio aria, quasi tutte le richieste di trivellazione vengono bocciate. Per esempio la provincia di Novara, che ha in Trecate uno dei principali centro storici di estrazione del petrolio, ha scoperto una nuova zona di sviluppo potenziale a Carpignano, ma qui nel mese di giugno un referendum popolare ha respinto a schiacciante maggioranza (93%) la proposta dell’Eni di trivellare un pozzo; e ancora in quel di Novara la richiesta della britannica Northern Petroleum di estrarre greggio nei dintorni di Borgomanero ha provocato a fine dicembre la lettera di protesta di un gruppo di sindaci.
E non si tratta di casi isolati: in tutta Italia appena si vede in giro un geologo che saggia il terreno fioriscono i comitati del no. Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, ha un profilo netto: fra gli analisti del settore si schiera con decisione con chi darebbe via libera al petrolio e al gas italiani, nel rigoroso rispetto dell’ambiente ma senza cedimenti verso quella sindrome che in America chiamano «nimby» (not in my backyard, cioè «non nel mio cortile»).
Dice Tabarelli: «In Italia c’è una dorsale del petrolio e del gas che parte da Novara e poi si distende lungo l’Appennino fino in fondo alla Calabria e prosegue in Sicilia. Nel Mare Adriatico c’è una dorsale parallela offshore, da Chioggia al Gargano. In un secolo e mezzo in Italia sono stati perforati 7 mila pozzi, di cui 800 ancora attivi. Persino alle isole Tremiti, dove ci sono resistenze a trivellare, c’è già un pozzo, attivo dal 1962 la Montedison fece un pozzo su San Domino in zona Colle dell’Eremita fino ad una profondità di 536 metri per vedere se trovava petrolio, con esito sterile. Non riuscì a proseguire la perforazione oltre i 536 metri perchè non riusciva più ad estrarre il materiale e si fermarono.
Il materiale estratto era di solo calcare e dolomia con un pò di argilla.
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