Indici di lettura Puglia penultima

In Italia nel 2014 la quota di lettori è scesa dell’1,6% rispetto al 2013: solo il 41,4% delle persone da 6 anni in su hanno dichiarato di aver letto

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In Italia nel 2014 la quota di lettori è scesa dell’1,6% rispetto al 2013: solo il 41,4% delle persone da 6 anni in su hanno dichiarato di aver letto almeno un libro nel corso dell’anno. Nel Sud questa quota si riduce in media e paurosamente al 30,2% (flette rispetto al 2013 di 0,8%). Stiamo parlando di un libro all’anno e del fatto che nel Sud, nonostante si tratti di un solo misero libro, soltanto 30 su 100 persone lo leggono! La dimensione terribile del fallimento della nostra acculturazione è tutta qui. Se focalizziamo i dati sulla Puglia, essa è penultima fra le regioni: 26,8%. Tragedia nella tragedia.
Il rapporto Istat sulla produzione e la lettura di libri in Italia nel 2014 offre numerose altre chiavi di lettura, attraverso l’incrocio dei dati, ma non varrebbe molto soffermarvisi: il succo della catastrofe è tutto in queste prime cifre. Semmai almeno un altro dato va segnalato. I lettori «forti», quelli che leggono 12 libri e più nell’anno, sono il 14,3% dei lettori, quindi un’infima aliquota: presumibilmente sono questi il nucleo portante di coloro che frequentano i vari festival del libro che prosperano in Italia (quindi festival frequentati dai «soliti noti», di fatto ben poco utili…). Ma per comprendere meglio le cause di tutto ciò, prendiamo in blocco tutto il Sud (nel quale la Puglia è quasi la peggiore regione, peggio fa solo la Sicilia): il punto più dolente di tutto il rapporto Istat. Qui le leggi regionali sui beni culturali e sulla lettura (quando meritoriamente ci sono, ed è raro) restano flatus vocis, grida manzoniane.
Le biblioteche languono di vita grama salvo rare eccezioni, le università non sono stimmate virtuose del territorio ma nella più parte dei casi roccaforti di baronato, i musei ben gestiti o su temi innovativi (come le scienze) sono mosche bianche e quasi tutti sono chiusi nelle ore e nei giorni in cui dovrebbero essere aperti, gli archivi con i loro inestimabili tesori documentali sono per lo più in stabili fatiscenti con carte spesso del tutto inconsultabili: insomma i luoghi della conoscenza, del sapere, nel Sud sono kaputt (direbbe Curzio Malaparte).
Per molte amministrazioni pubbliche (Regioni in testa, quelle del Sud avanti tutte) il Welfare del sapere si riduce a una banale «società dello spettacolo » degna del panem et circenses del fu regno borbonico, oggi declinata in termini di «la cultura serve al turismo». A Bari (faccio solo un esempio) le poche biblioteche di quartiere invece di essere migliorate e moltiplicate sono state tutte chiuse. In Italia basterebbe la grande Mostra del cinema di Venezia, magari da rafforzare: invece ogni regione vuole avere il suo festival internazionale e la pubblica amministrazione di turno asseconda, anzi promuove.
Non si comprende, insomma, che una corretta e vincente strategia di diffusione della conoscenza (che significa formare cittadini consapevoli e soprattutto in grado di cogliere le opportunità sociali) deve partire – per quel che riguarda l’utilizzo delle risorse pubbliche – dal rafforzamento e dalla diffusione capillare, specie nei quartieri a rischio e nelle aree escluse, dei fondamentali presìdi del sapere: biblioteche, archivi, musei, pinacoteche, università, scuole, accademie di vera cultura, conservatori di musica. Tutto il resto viene dopo e non è affatto detto che se ne debba fare carico la finanza pubblica, cioè i cittadini con le tasse. Questo significa Welfare comunitario della conoscenza, necessario per una società moderna. Una «ricetta» che sembra banale nella sua semplicità, ma è ciò che oggi serve sul serio al nostro Paese e soprattutto al Sud e, nel Sud, alla Puglia. Così, forse, si può risalire la china educando anche a leggere, fin da tenera età.

* Presidente Associazione Italiana Biblioteche – Puglia

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