A distanza di trentacinque anni dagli ultimi scavi condotti dall’Università di Genova in collaborazione con quella della California e del South Missis
A distanza di trentacinque anni dagli ultimi scavi condotti dall’Università di Genova in collaborazione con quella della California e del South Mississippi, l’Istituto Italiano per l’Archeologia Sperimentale riprende gli scavi a Grotta Scaloria di Manfredonia, uno dei siti più importanti per la conoscenza del Neolitico e dei culti praticati dalle comunità preistoriche della Puglia oltre 7000 anni fa.
L’Istituto Italiano per l’Archeologia Sperimentale (IIAS), fondato dal Prof. Santo Tiné primo studioso a richiamare l’attenzione della comunità scientifica sulle eccezionali testimonianze della grotta, coordina su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo e con la supervisione della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia, un’équipe internazionale di studiosi che fanno capo all’Università della California (UCLA Los Angeles), Università di Cambridge, Università di Roma, Civico Museo di Archeologia Ligure (MAL) di Genova, Università degli Studi di Genova.
L’edizione scientifica degli scavi della fine degli anni ’70 e alcune indagini preliminari a cura dello stesso IIAS e del Cotsen Institute della UCLA, che ha finanziato il progetto editoriale, hanno messo in evidenza che la grotta era un riparo aperto fino all’Alto Medioevo riproponendo la necessità di comprendere ad esempio quale fosse l’originale morfologia e l’accesso della grotta stessa, le modalità di frequentazione in età neolitica per portare nuova luce sullo straordinario culto delle acque che fa di Grotta Scaloria un sito unico nel panorama della preistoria mediterranea.
L’indagine condotta negli anni ’70 da Santo Tiné e Marija Gimbutas si erano concentrate in alcuni settori della grotta come il cosiddetto “camerone Quagliati” (dal nome del primo esploratore della Grotta Scaloria negli anni ’30 del secolo scorso) e lungo il percorso verso la parte bassa del complesso dove decine di vasi erano collocati nei punti di maggiore concentrazione dello stillicidio delle acque a testimonianza di un rituale che per noi moderni risulta misterioso e affascinante e di cui intravediamo la forza simbolica che le popolazioni neolitiche della Puglia ancora riescono a comunicare a distanza di migliaia di anni.
Grazie alla fattiva collaborazione del Comune di Manfredonia e alla partecipazione dello “storico” Gruppo Archeo-Speleologico Città di Manfredonia, primo scopritore della parte bassa della caverna negli anni ’60, i responsabili dello scavo Eugenia Isetti (IIAS) e Anna Maria Tunzi (Soprintendenza della Puglia) hanno inaugurato, a partire dal due settembre, questa nuova stagione di ricerche che utilizzeranno, tra l’altro, strumenti geofisici, indagini pedologiche sulla formazione dei suoli antiche, analisi stratigrafiche e altre metodologie caratteristiche delle ultime frontiere dell’archeologia preistorica.
Redazione
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